Eroi e divinità forgiati nel bronzo così l'Antico ricreava i classici

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lella84
00lunedì 10 novembre 2008 22:40





MANTOVA - Con due mostre Mantova si presenta capitale della raffinatezza artistica. Una dedicata ad uno scultore fra Quattrocentro e Cinquecento, molto particolare, con un nome lunghissimo, Pier Jacopo Alari Bonacolsi, siintetizzato in l'Antico. La seconda dedicata a preziosità minerali trasformate in rarità artistiche, in quei cammei, gioielli e pietre dure incise che facevano impazzire per la bramosia di possederle gli antichi imperatori, selezionati principi rinascimentali, papi e gli artigiani-artisti per le difficoltà a lavorarle (vai al servizio, "Il cammeo Gonzaga").

Bonacolsi autore di riduzioni di capolavori antichi in statuette da 20 a 40 centimetri di altezza, tutte di bronzo, una tecnica portata a un livello di perfezione ineguagliato dopo l'antichità ("solo Giambologna e Antonio Susini" suo allievo lo raggiungeranno). Non un copista perché Bonacolsi modifica posa, gesti, atteggiamenti, vesti rispetto al prototipo e non sempre si può identificare il modello antico. Piuttosto una "trasformazione del tutto autonoma e innovativa", non un "pastiche eclettico", ma "una creazione originale di grande fascino poetico" e "profondamente votata alla grazia". Il confronto con l'arte classica "non si limitava allo sforzo di coglierne le caratteristiche formali, ma si fondava su una profonda comprensione della forza espressiva". Bonacolsi creava statue "derivate pienamente dallo spirito dell'antichità", ma "mai realizzate in questa forma" da greci e romani. Il suo è "un effetto psuedo-antico perfettamente convincente".

La convinzione sempre perseguita è che anche la perfezione delle antiche sculture può essere migliorata, resa più raffinata. Per esempio con la policromia originale del bronzo antico, quindi superfici perfettamente lisce, brunite, patinate, con il tocco di particolari dorati a fuoco come i capelli, il manto, i calzari e inserti in argento e rame. Con spunti da pioniere come la rappresentazione del nudo femminile "con disinvolta naturalezza", da osservare da molteplici punti di vista, nudo che nella scultura del primissimo Cinquecento "non era affatto una ovvietà" ed anche nella pittura era "appena agli inizi" ("La nascita di Venere" del Botticelli e la "Leda" di Leonardo).

Certo bisogna osservare le sculture di Bonacolsi con gli occhi dell'epoca in cui furono fatte, non con occhi moderni che subito schizzano "agli oggetti decorativi in stile Impero". Con gli occhi delle corti piccole e grandi dei Gonzaga al cui servizio Bonacolsi passò una cinquantina di anni. Stimatissimo, ascoltato per scelte e gusti, onorato, beneficato con terreni e cariche (superiore "delle porte et molini"), ma quasi prigioniero a Mantova e nel contado perché quei signori volevano le preziose opere e i multiformi servizi solo per loro. Il vescovo Ludovico Gonzaga fa arrestare il proprio cappellano sospettato di aver fatto eseguire copie non autorizzate di opere dell'Antico. Se dirà la verità e restituirà le copie sarà perdonato - scrive - altrimenti lo "puniremo talmente che se ne pentirà". Scultore in bronzo, ma costante è anche l'attività di restauratore di opere antiche.

La mostra, la prima monografica, si intitola "Bonacolsi l'Antico. Uno scultore nella Mantova di Andrea Mantegna e di Isabella d'Este" (fino al 6 gennaio). Al Palazzo Ducale di Mantova, nella parte più illustre, l'appartamento in Corte Vecchia in cui la potente Isabella, uno dei più agognati, capricciosi mecenati d'Italia, dalla "vorace attività collezionistica", si ritirò nel 1519, vedova del signore di Mantova, e in cui ricreò i suoi camerini, la Grotta e lo Studiolo. Era questo famosissimo in Europa, pieno di sculture antiche, statuette di bronzo (fra cui quelle dell'Antico), capolavori di pittura, gli "amorini dormienti" di Michelangelo attribuiti a Prassitele, pietre preziose lavorate, gioielli antichi e moderni (fra cui il "Cammeo Gonzaga" protagonista dell'altra mostra di Mantova), oggetti stravaganti. L'appartamento è stato ricomposto nella sua unità e restaurato nei decori raffinatissimi dei soffitti a cassettoni, delle pareti con intarsi lignei, dei cubicoli nascosti da mani di calce. E finalmente si può vedere la "mirabile loggetta dipinta, con l'aerea architettura di finta verzura". Qui sono stati scoperti una zoccolatura di finte bugne a punta di diamante che non può non ricordare Palazzo dei Diamanti di Ferrara, patria di Isabella e al centro un pozzo più antico, sconosciuto.

La mostra è promossa dalla soprintendenza storico-artistica ed è a cura del soprintendente Filippo Trevisani (curatore del catalogo con Davide Gasparotto). Organizzazione e catalogo Electa. Fra i molti musei prestatori, il Kunsthistorisches Museum di Vienna con la Kunstkammer, che possiede il maggior numero al mondo di opere dell'Antico, e con Claudia Kryza-Gersch, che ha partecipato al progetto.
In mostra c'è poco meno di un centinaio di opere, quasi esclusivamente sculture. Di Bonacolsi sono 39 bronzi fra cui ritratti-medaglie, quattro teste antiche romane di marmo completate, rilavorate e montate su busti di gesso e terracotta. Sculture antiche come il celebre "Camillo" dei Musei Capitolini alto 141 centimetri (un "camillo" è un giovane assistente al sacrificio), una rara copia in bronzo con occhi intarsiati in argento di cui molti elementi si ritrovano in Bonacolsi.

C'è anche un orafo che si firma Moderno, ma che non si riesce a identificare (il veronese Galeazzo Mondella o il milanese Caradosso Foppa). Con due piccoli bronzi dorati e due rilievi in argento dorato in cui sovrabbonda di pieghe fino a farle diventare grinze. Mentre il classicismo de l'Antico - osserva Gasparotto - è "apollineo", "sensibile all'aspetto più controllato dell'eredità classica", il classicismo del Moderno è "dionisiaco", interessato "all'aspetto espressivo e dinamico".

Al grande scultore Jacopo Sansovino è attribuito il gruppo del Lacoonte in bronzo alto 32,5 centimetri. Un'opera giovanile forse legata alla gara per la migliore copia del gruppo (ancora col sacerdore senza braccio destro), indetta da Bramante, giudicata da Raffaello e assegnata proprio a Sansovino. Mantegna è l'indispensabile presenza con incisioni. Pochi i dipinti. Di Lorenzo Costa il busto del "San Sebastiano alla colonna" (dagli Uffizi), un "classicismo umanizzato" di cui il "restauro ha messo in luce una qualità altissima" e uno stato di conservazione ottimo. La "Calunnia di Apelle" dipinta da Lorenzo Leonbruno in chiaroscuro "a finto bronzo" e con lumeggiature dorate (il mantovano Leonbruno affrescò le lunette nell'appartamento di Isabella). La tavolettina "L'Abbondanza" di Giulio Romano, il nuovo signore artistico di Mantova. Col suo arrivo nell'ottobre 1524 si conclude la carriera e il raggio d'azione di Bonacolsi come "arbitro dei gusti" e scelte dei Gonzaga. Nel 1528 l'Antico conclude anche l'esistenza terrena.

Ma chi era Bonacolsi? Il figlio di un macellaio di Mantova dove è nato nel 1460 circa. Non sappiamo nulla della formazione (tranne l'influenza ideale di Mantegna, ma solo all'inizio della carriera). Opere preziose di dimensioni ridottissime fanno pensare ad una formazione da orefice. Sappiamo di due viaggi documentati a Roma, 1495 e 1497, ma non sappiamo se in accordo con qualche mecenate. Dobbiamo però pensare che sia stato seguito amorevolmente se l'agente dei Gonzaga a Roma assicura la marchesa di avergli dato il suo appoggio. Non sappiamo dell'esistenza di una bottega. Non sappiamo chi gli affibbiò il soprannome di Antico o se fu sua invenzione. Qualcuno pensa anche a Isabella d'Este, ma nel secondo viaggio a Roma, già prima di entrare nell'orbita della marchesa, si firma così, in una posizione quasi inaccessibile, sotto uno dei due cavalli in marmo dei Dioscuri sulla piazza del Quirinale, alla fine del restauro.

La scelta del bronzo come materiale esclusivo da parte di Bonacolsi è dovuta a ragioni pratiche (la mancanza di cave di pietra locale) e ideali (molte delle sculture antiche erano all'origine di bronzo). Le fonti riportano anche lavori in argento che però non ci sono arrivati. Tutti i soggetti sono di tipo profano: l'unica eccezione sarebbe una figuretta del Battista, forse un lavoro di oreficeria. Capolavoro nel suo genere, capisaldo dell'inizio giovanile al servizio di Gianfrancesco Gonzaga, signore di Bozzolo, è lo splendido "Vaso Gonzaga" da Modena, alto 31 centimetri. Creato nel 1480 celebra le nozze di Gianfrancesco con Antonia del Balzo e il loro insediamento nella corte, un po' periferica, assegnata dal fratello maggiore Federico, nuovo marchese di Mantova.

Formato da sei pezzi fusi separatamente, il vaso ha un fregio continuo di trofei di armi, grandi maschere. Dalle bocche pendono festoni di foglie di quercia, di palma e fiori, raccordati a un ibrido fra umano e vegetale. Nella parte inferiore, una processione marina con Nettuno sopra una navicella trainata da due cavalli, con corteggio di tritoni "in audaci avances quando non in più esplicite attività amorose" con relative nereidi discinte o nude. Nell'"eccitazione generale" una elegante figura femminile segue "composta" il carro di Nettuno, portata sulle spalle da un tritone.

Tre bronzetti, il "Meleagro" (dal Victoria and Albert Museum di Londra), l'"Apollo del Belvedere" (dalla galleria della Cà d'oro) e la "Venus Felix" (da Vienna, Kunsthistorisches Museum), vengono considerati "lussuosi pezzi da collezionista", in bronzo parzialmente dorato e con inserti d'argento. Meleagro, il guerriero greco che liberò le sue terre dal cinghiale che faceva disastri, è raffigurato con i resti di una lancia fra le mani e lo sguardo rivolto verso il basso. Dorato a mercurio sui capelli, i baffi, i denti, sulla tunica e i sandali a rete, con gli occhi in argento, assomiglia ad un barbaro. La superficie dorata "molto lavorata e finemente cesellata contrasta con la delicata patinatura scura del corpo (ora rovinata dal cancro del bronzo) e rivela la formazione dell'Antico come orafo".

Potrebbe essere una delle sculture fatte per Gianfrancesco Gonzaga per il quale Bonacolsì cominciò a lavorare nel 1487 e quindi uno dei suoi bronzi più antichi. L'Apollo veneziano tiene con la sinistra un piccolo arco di legno, non originale. Qui Bonacolsi "ricrea un'antichità ideale, modificandone profondamente i valori formali" grazie al bronzo "dalle infinite possibilità illuministiche", il "pittoricismo astratto e astraente della doratura", una "nuova sensualità e armonia".

Claudia Kryza-Gersch considera la Venere viennese "un esempio sublime dello stile di Antico", una delle opere più famose. "Per la tecnica straordinaria della sua fattura rappresenta uno dei vertici dell'arte dell'artista". Un tipico esempio del lavorare con modelli classici "con esiti sempre creativi e mai puramente imitativi". Il modello di marmo di epoca imperiale romana, nel cortile del Belvedere in Vaticano, ritrae forse Faustina Minore. Bonacolsi sostituisce la "severa acconciatura del modello antico" con una raffinata pettinatura dai ricci isolati che ricadono sul collo e una novità assoluta, una corona di foglie di quercia fra i capelli che non è derivata da altre statue antiche di Venere. Non solo, Bonacolsi aggiunge una "piccante interpretazione". L'"origine du monde" che nella statua antica è velata con pudore con la mano e il manto qui è completamente esibita.

Kryza-Gersch cita il "Paride seduto" (dal Metropolitan), altro bronzo con capelli e pomo dorati, per osservare che gli inserti in argento degli occhi non vanno spiegati con lo sfarzo richiesto dalle corti, ma con l'intento di Bonacolsi di riproporre lo splendore originario delle opere antiche. Due sculture "Ercole e Anteo", la prima in bronzo con inserti di argento, la seconda in bronzo, sembrano identiche. Non lo sono e fra le due ci sono circa venti anni di differenza. La prima (dal "Victoria and Albert") è del 1500, fatta per il vescovo Ludovico, ed è alta 39,1 centimetri. La seconda (da Vienna) è del 1519, alta 39,7 e fatta per Isabella come ci dice l'iscrizione fusa con la base. Significa che Bonacolsi era in grado di realizzare copie di proprie opere di decenni prima per l'uso "estremamente sofisticato dei calchi parziali", del tutto "pionieristico" all'epoca.

Il gigante Anteo, figlio della dea della Terra Gaia, traeva forza dal tenere i piedi per terra attraverso la quale la madre gli "pompava" energia. Ecco perché Ercole lo solleva per aria e lo stringe sul petto fino a soffocarlo, simbolo più dell'"acume" dell'ingegno che della forza bruta. Il modello antico di partenza, anche lui nel cortile del Belvedere, era formato da due torsi congiunti, con molte mutilazioni e il solo Ercole con la testa. Osserva Kryza-Gersch che in perfetta sintonia con la "totale mancanza di senso drammatico" tipica di Bonacolsi, Anteo ha la testa rovesciata all'indietro nella stretta di Ercole, ma il volto non ha nulla di distorto, è quello di un "avvenente giovanetto imberbe" che non pensa a lottare. Solo Ercole ha lo sguardo sbarrato nel vuoto, concentrato nello sforzo. Nei due gruppi il fulcro della scena è l'incrocio di braccia e mani.

Nel gruppo di Londra c'è chi rileva che i volti di Ercole e Anteo sono "espressamente eroici", sottolineati da occhi e denti intarsiati in argento. Il bronzo è maggiormente polito e rifinito, con le "mani definite in modo molto naturalistico e i capelli modellati e cesellati in maniera assai netta". La patina originale nera è stata sostituita da un rivestimento rosso scuro nel Settecento. Lo "Spinario" dei Capitolini è uno dei bronzi più famosi sopravvissuti dell'antichità e uno dei più copiati. Non poteva mancare l'interpretazione di Bonacolsi (dalla Galleria estense di Modena), che nel suo bronzo a patina scura colloca la spina, non sulla pianta del piede, ma sul tallone. Soprattutto - secondo Gasparotto - il ritmo della composizione è "assai più fluido e avvolgente" e i particolari anatomici sono molto meno accentuati rispetto alla "nervosa tensione" del bronzo antico.

Anche questa opera, del 1519-1520, è per Isabella e lo Studiolo. Come la snella "Atropo", una delle Moire, la dea del destino che recide il filo della vita, raffigurata però nell'atteggiamento di chi sta filando che è il compito della collega Clòthos. Bonacolsi raffigura la dea del destino in modo "alquanto insolito", come una "fanciulla nuda e avvenente" mentre le Moire o Parche sono sempre descritte vecchie, brutte e vestite di bianco. Ancora, mostra "già accenni di una torsione dell'asse del corpo" e non più una semplice veduta frontale. Come la "Venere accosciata" (da Madrid, collezione Thyssen-Bornemisza), un bronzo a patina scura di appena 23 centimetri di altezza. Una delle sculture le cui "forme" erano state rubate per farne copie e che aveva scatenato le ire del vescovo Ludovico. Del tutto verosimile che questa Venere sia la seconda versione fatta a distanza di anni, dopo il 1519, per Isabella alla quale la scultura era stata (incredibilmente) rubata.

Notizie utili - "Bonacolsi l'Antico. Uno scultore nella Mantova di Andrea Mantegna e di Isabella d'Este". Dal 13 settembre al 6 gennaio. Mantova. Palazzo Ducale, appartamento di Isabella d'Este in Corte Vecchia. Promossa dal ministero per i Beni e le attività culturali e dalla soprintendenza per il patrimonio storico-artistico. A cura del soprintendente Filippo Trevisani. Catalogo Electa a cura di Filippo Trevisani e Davide Gasparotto. Comitato scientifico internazionale. Sostegno della Fondazione e gruppo Monte dei Paschi di Siena.
Biglietti: intero 10 euro, ridotto 7,50. Con prenotazione obbligatoria invariata per la visita alla Camera Picta.
Orari: tutti i giorni 9-19; lunedì è chiuso il resto del Palazzo Ducale. Chiusa il 25 dicembre e il 1°
gennaio. Informazioni 0376-352100. Prenotazioni 041-2411897.

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